COMPLESSO AUTOSCARRABILE APS-95 - pag. 1
All'inizio degli anni '80 con l'adozione da parte occidentale di nuove
strategie più adatte a fronteggiare la minaccia del Patto di Varsavia (ad esempio la
dottrina Air Land Battle per gli USA) vennero introdotti
nuovi sistemi d'arma dotati di notevoli capacità di movimento e contemporaneamente grande
celerità di tiro. Tale connubio costrinse gli addetti alla logistica a rivedere
completamente le modalità di rifornimento delle linee avanzate. Il problema era infatti
particolarmente grave nella distribuzione del munizionamento d'artiglieria perché
l'adozione dei nuovi sistemi (obici da 155 mm ed il lanciarazzi
multiplo MLRS) aveva aumentato notevolmente il fabbisogno di munizioni da trasportarsi
lungo un fronte previsto in continua ridefinizione. Ci si rese conto soprattutto che non
era più possibile basarsi sul vecchio sistema incernierato su grandi depositi a livello
divisionale e a rigide catene di distribuzione che costringevano a caricare e scaricare il
munizionamento almeno quattro volte nel suo viaggio dai depositi alle batterie. La cosa,
oltre a causare enormi perdite di tempo, costringeva anche ad impiegare una quantità
ingiustificabile di persone e mezzi per il trasbordo del materiale nelle tappe intermedie.
La soluzione più semplice, quella di aumentare il numero di veicoli da utilizzare allo
scopo, venne immediatamente scartata sia perché di fondo non risolveva il problema del
trasbordo sia perché appariva ovvio che un numero maggiore di mezzi avrebbe portato ad
una ancor maggiore saturazione delle già intasate vie di comunicazione. A questo punto
alcuni eserciti, per primi il British Army e l'US Army, si rivolsero verso le soluzioni
adottate dal mercato civile per il trasporto veloce delle merci. Le prime idee, basate
sull'utilizzo dei containers tramite veicoli civili, vennero ben presto scartate perché
anch'esse non risolvevano definitivamente il problema di evitare l'utilizzo di veicoli per
il trasbordo dei contenitori da un mezzo all'altro. Si era inoltre rilevato che le
soluzioni del mercato civile mal si adattavano alle esigenze militari soprattutto in
termini di mobilità su terreni difficili. Il primo ad affrontare e risolvere il problema
fu il Ministero della Difesa inglese che adottò un sistema basato sulla rivisitazione
dell'uso dei containers questa volta con un adattamento spinto ai fabbisogni militari. Il
sistema si basava sulla capacità del veicolo trasportatore di provvedere autonomamente
alle operazioni di carico e scarico del materiale trasportato indipendentemente dalla
situazione del terreno sul quale veniva ad operare. Oltre a ciò, al fine di evitare
perdite di tempo nella movimentazione di piccoli contenitori, il materiale doveva sempre
viaggiare su contenitori standard di grosse dimensioni. In pratica il veicolo provvedeva a
scaricare un container che poi poteva essere immediatamente caricato da un altro veicolo
dotato dei medesimi apparati, le operazioni venivano condotte dallo stesso equipaggio del
veicolo così da evitare completamente l'impiego di mezzi e personale esterni. Proprio per
tali caratteristiche autonome di caricamento tali sistemi presero il nome di
"autoscarrabili". Subito dopo gli inglesi toccò all'US Army affrontare il
problema che venne risolto non solo adottando simili sistemi meccanici ma anche
riconfigurando completamente la catena logistica che ora veniva basata sul Combat
Configured Load (CCL). In pratica i CCL erano dei carichi ottimizzati nella composizione e
nelle dimensioni per soddisfare completamente un determinato fabbisogno (ad esempio il
riarmo completo di un MBT). Questa soluzione consentiva sostanzialmente di utilizzare per
la missione solo i veicoli strettamente necessari al trasporto del materiale ordinato
evitando di impiegare veicoli con carichi misti che alla fine avrebbero dovuto compiere
buona parte del viaggio tra i vari punti di scarico senza raggiungere la massima portata
consentita. A queste soluzioni se ne abbinarono altre come ad esempio l'utilizzo dei
sistemi informatici per l'esatta identificazione del carico senza dover provvedere ad
ispezioni dei contenitori, l'integrazione dei vettori in sistemi di controllo delle flotte
al fine di ottimizzare l'uso dei veicoli e la possibilità di mantenere in contatto radio
il vettore con l'utilizzatore a fine di evitare perdite di tempo nella reciproca
identificazione.
Le caratteristiche che un sistema autoscarrabile militare deve avere sono riassunte nei
seguenti punti:
- facilità e sicurezza della manovra di movimentazione del carico;
- semplicità nell'installazione del sistema sul telaio al fine di non compromettere le
prestazioni del veicolo;
- semplicità di manutenzione;
- possibilità di integrazione con i sistemi di trasporto civili.
Da queste necessità si capisce come tali sistemi non possano costituire un semplice
adattamento di quelli civili soprattutto a causa del fatto che essi devono garantire le
stesse prestazioni anche in ambienti nei quali i sistemi civili solitamente non operano.
I sistemi autoscarrabili sono costituiti sostanzialmente da tre componenti:
- il veicolo: scelto tra le nuove gamme ad 8 o più assali per garantire la possibilità
di trasportare un carico utile di 20 tonnellate (container + sistema di movimentazione);
- il container (od il pianale) scarrabile: solitamente di dimensioni standardizzate ISO 1C
(container da 20x8 piedi ovvero 6,10x2,40 metri) con portata variabile tra le 14 e le 16
tonnellate. Per il pianale è stato invece stabilito un criterio di standardizzazione NATO
che lo renda interscambiabile tra i veicoli appartenenti a forze armate di paesi diversi;
- il sistema di movimentazione del pianale: normalmente costituito da un braccio a
funzionamento idraulico che dà la capacità al sistema di operare anche su terreni
fortemente accidentati.
Seguendo questi nuovi orientamenti logistici e dovendo rispondere alle nuove esigenze causata e dai ripetuti impieghi fuori area dove è impensabile ricostruire la rete di depositi presenti in Patria, anche l'Esercito Italiano si è dotato di questi sistemi ottenuti dalla combinazione dei nuovi veicoli a quattro assi della Ditta ASTRA di Piacenza ed il dispositivo inglese MULTILIFT Mk. IV realizzato dalla Ditta CARGOTEC e costruito su licenza in Italia dalla Ditta ISOLI. Il complesso è stato immesso in servizio con la sigla APS-95 ed ha già dato prova delle sue capacità durante tutte le operazioni condotte fuori area dall'Esercito sin dalle prime operazioni in Bosnia in appoggio al contingente ITALFOR. Complessivamente l'EI ha intenzione di acquisire entro il 2010 almeno 2.200 esemplari di questo interessante complesso che è stato adottato anche dall'Esercito Irlandese.
Il sistema MULTILIFT Mk. IV può essere integrato con l'apparato CHU (Container Handling Unit) composto da un telaio ad H che permette le operazioni dirette di carico/scarico di un container standard da 20 piedi senza l'utilizzo del pianale sottostante. L'apparato è completato da due rulliere posteriori dotate di zampe d'appoggio che incorporano anche i rulli necessari per il movimento dei normali pianali. Tali rulliere, incorporate nella barra posteriore sono state installate su tutti gli APS95 dell'Esercito.
Alcune viste del dispositivo di autoscarramento MULTILIFT Mk. IV specificatamente studiato per gli impieghi militari e caratterizzato da un comando sequenziale controllato mediante un joystick da un solo operatore. Il dispositivo è dotato di un sistema di autoposizionamente rispetto al carico per l'aggancio automatico del pianale in fase di carico. La capacità nominale di sollevamento è pari a 20 tonnellate.
|
||
Gli APS-95 sono stati tra i primi veicoli dell'Esercito Italiano a
ricevere la nuova mimetica a tre toni che un po' alla volta sostituirà totalmente la
classica livrea verde-oliva che l'Esercito manteneva fin dal dopoguerra. Tale mimetica,
studiata appositamente per ogni tipo di veicolo dall'Ufficio Tecnico Territoriale (UTT) di
Torino, si basa sul sistema colorimetrico CIELAB 1976 e viene applicata seguendo le
normative NATO previste dalla STANAG 4422 (STAndard Nomenclature Agreement). Le
percentuale di copertura scelte dall'UTT in rispetto dei limiti NATO sono 45% per il
verde, 41% per il nero e 14% per il marrone con una tolleranza per ciascun colore del 0,5%
in più od in meno. E' prevista l'adozione di mimetismi per terreni innevati e per terreni
desertici (utilizzati per la prima volta durante la missione in Afghanistan) nonché
l'impiego di vernici asportabili per l'utilizzo di breve periodo.
Tutte le vernici adottate sono più opache di quelle utilizzate fin ora sia per adeguarle
agli standard degli altri eserciti sia perché effettivamente le seconde non davano
risultati soddisfacenti in termini di occultabilità. Le vernici sono anche studiate in
modo da diminuire la segnatura termica del veicolo ma non per resistere agli attacchi
chimici (vernici CARC, Chemical Agent Resistant Coatings).
I teloni, al fine di evitare inutili e costosi sprechi di materiale in fase di lavorazione
dovuti alle limitazioni nella variazione del mimetismo, sono dipinti anziché stampati
anche se il particolare tipo di materiale che li costituisce (in elastomero anziché il
più comune PVC) utilizzato dall'EI ha costretto l'UTT a sviluppare prodotti appositi
diversi da quelli impiegati sulla carrozzerie.
E' interessante precisare che lo schema per ciascun veicolo viene disegnato con il famoso
programma AutoCAD basandosi su disegni del mezzo forniti dalle ditte costruttrici. Il
programma consente, tramite l'utilizzo di aree chiuse, di calcolare automaticamente le
superfici trattate con ciascun colore e di fornire facilmente gli schemi di colorazione.